Parliamo di cinema, di quello vero,
della sua nascita e del suo sviluppo
Parliamo di “The Artist”
L’idea del film non è nuova, abbiamo
già avuto modo di veder rivivere sullo schermo vecchie glorie del cinema muto
che crollano in un soffio come un castello di carte a causa dell’avvento del
sonoro. Basta nominare “Viale del Tramonto” dove già nel 1950, ovvero a soli 20
anni di distanza dalla fine del muto, Billy Wilder impartiva lezioni di cinema
(Sam Mendes ne sa qualcosa), descrivendo magistralmente gli anni del declino di
una grande diva rinchiusa nel suo polveroso maniero. Insieme a Gloria Swanson
si riconosce per un attimo un grande attore, forse il migliore secondo i più
scrupolosi esegeti cinematografici: Buster Keaton. La “maschera” qui va una
piccola comparsa ma sul suo volto di pietra ritroviamo tutto il dolore di una
vita trascorsa e finita non troppo allegramente.
Buster Keaton era grande,
tecnicamente parlando era di gran lunga superiore a Chaplin. E su questo non ci
sono dubbi. I suoi film sono costruiti perfettamente, senza troppe divagazioni
chapliniane o falsi moralismi. La pellicola è parte viva di un meccanismo
senza falle, il linguaggio cinematografico ha trovato la sua prima e completa forma di
vita nei film di Keaton. Il mio preferito è “Sherlock Junior
– La palla nr. 13” nel quale il nostro eroe, operatore proiezionista in un
cinema, si addormenta durante la trasmissione di un film e la sua “parte
onirica” vi finisce dentro, in un gioco dove sogno e realtà sono un tutt’uno.
Niente è veramente reale nei film di Keaton, gli oggetti non sono mai quello
che sembrano ed ogni cosa deve essere analizzata da tutti i punti di vista per
poter comprendere lo svariato utilizzo che ne possiamo trarre. E’ il più
profondo degli insegnamenti: non giudicare mai le cose per come sembrano, prova
a guardarle da un altro punto di vista.
La macchina da presa fa parte di
questo gioco del vedo-non-vedo, allargando o restringendo il campo, illudendo
continuamente lo spettatore. Non per niente Keaton è “nato” sotto il tendone di
un circo e il suo nomignolo “Buster” gli è stato attribuito dal grande Houdini.
I film di Keaton, comici se visti
superficialmente, sono tutt’altro. Il finale non è mai rosa, l’uomo deve sempre
continuare a lottare per vivere e in un caso la pellicola si conclude con
l’inquadratura di una pietra tombale.
Ho scoperto Keaton a 12 anni e il
montaggio è diventato la mia passione. Non è un caso
Ritorniamo al punto di inizio: ieri
sera ho visto “The Artist”.
Dicevo, l’idea non è esattamente
fresca ma è audace se consideriamo che lo stesso Wilder ha avuto forti scontri
e pressioni perché la produzione nel 1960 si opponeva con tutte le sue forze
all’utilizzo del bianco e nero per una pellicola poi diventata uno dei massimi
capolavori : “A qualcuno piace caldo”
Audace quindi l’utilizzo del bianco e
nero e ancor più del muto. Il film è un “semi-sonoro” ci sono alcune parti in
cui si odono i rumori, le parole vengono fuori nell’ultimo minuto, e la regina
del film è colonna sonora.
Gli attori sono sconosciuti – almeno
all’estero – ed è veramente interessante
scoprire che Jean Dujardin è un attore noto al pubblico francese per avere
interpretato parti comiche. Un cabarettista, come si può notare dalla prestanza
fisica, che ricorda in parte Gene Kelly (forte il riferimento a “Cantando sotto
la pioggia” : il divo del muto che viene salvato grazie alla sua abilità
danzante e quindi grazie al musical che fa risorgere l’America dopo il crac) e
in parte Douglas Fairbanks (la bellezza malandrina, il baffetto e la triste
fine)
In questo ruolo infatti ricopre la
parte di star del cinema muto (Douglas Fairbanks appunto) che all’arrivo del
sonoro e, evento da non sottovalutare, dal crac del 25 ottobre 1929, perde
tutto e si lascia trascinare dall’orgoglio e dalla disperazione, vagando come
un fantasma e nutrendosi solo di alcol.
Spesso ci dimentichiamo del 1929 ma
il riferimento, specialmente se paragonato alla situazione attuale, fa pensare.
E molto.
Il declino di un popolo, la fame, la
disperazione, la disoccupazione. Abbastanza terrificante e purtroppo reale, mai
come adesso.
Tornando a “The Artist” è da notare
anche l’abilità del regista nello spargere riferimenti visivi durante lo
svolgimento del film. Qualità fondamentale dato che stiamo parlando di un film
muto. Scritte, specchi, ogni oggetto è utilizzato (secondo la lezione impartita
dai grandi maestri di cui sopra) per poter innescare il grande potere della
comunicazione e della comprensione. Senza parole.
Il protagonista passeggia solo vicino
ad una sala cinematografica dove si proietta “Lonely Star”. La protagonista,
incarnazione perfetta della ragazza degli anni ’30, grintosa, giovane, bella e dinamica
(vero motore del film), innamorata fin dal primo momento del decaduto divo, è
all’insaputa di questo il suo “Angelo Custode”, altro titolo di un film in
programmazione.
Il grande amico fedele del
protagonista trova qui incarnazione in un animale anziché in un essere umano.
Il cane che ricorda Milou di Tintin salva il nostro eroe un paio di volte, nel
film che l’attore sta interpretando al principio e successivamente nella sua
triste e decaduta “realtà".
Ed ecco un altro déjà-vu, quello del “cinema nel cinema”. Non
è facile né scontato ma quando un regista riesce a far rivivere le emozioni di
un “film nel film”, la meravigliosa sensazione di una vita che passa attraverso
un pezzo di celluloide, allora il gioco è fatto e la magia prende forma. E’
come quando “sogniamo di sognare”, come “Alice nel Paese delle
Meraviglie”, come trovarsi in un libro
di Italo Calvino o di Raymond Queneau. Siamo quello che siamo o siamo il nostro
specchio?
Niente è più illusorio di uno schermo
bianco e forse è per questo che amo tanto la parte retrostante.
Sconsiglio vivamente la visione a
coloro che non amano il genere, che credono che tutto quello che non abbia
colore e forti suoni non sia altro che un vecchio polpettone e che non
guarderebbero mai un film che non sia datato inizialmente con il 2
Ne consiglio la visione a tutti gli
altri, ricordando – se permettete – che il cinema ha preso forma in Francia nel
lontanto 1895. Non me ne volete ma ripeterò sempre che il cinema è indiscutibilmente francese.
Buona visione
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