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sabato 28 gennaio 2012

THE ARTIST - by Michel Hazanavicius




Parliamo di cinema, di quello vero, della sua nascita e del suo sviluppo
Parliamo di “The Artist”
L’idea del film non è nuova, abbiamo già avuto modo di veder rivivere sullo schermo vecchie glorie del cinema muto che crollano in un soffio come un castello di carte a causa dell’avvento del sonoro. Basta nominare “Viale del Tramonto” dove già nel 1950, ovvero a soli 20 anni di distanza dalla fine del muto, Billy Wilder impartiva lezioni di cinema (Sam Mendes ne sa qualcosa), descrivendo magistralmente gli anni del declino di una grande diva rinchiusa nel suo polveroso maniero. Insieme a Gloria Swanson si riconosce per un attimo un grande attore, forse il migliore secondo i più scrupolosi esegeti cinematografici: Buster Keaton. La “maschera” qui va una piccola comparsa ma sul suo volto di pietra ritroviamo tutto il dolore di una vita trascorsa e finita non troppo allegramente.
Buster Keaton era grande, tecnicamente parlando era di gran lunga superiore a Chaplin. E su questo non ci sono dubbi. I suoi film sono costruiti perfettamente, senza troppe divagazioni chapliniane o falsi moralismi. La pellicola è parte viva di un meccanismo senza falle, il linguaggio cinematografico ha trovato la sua prima e completa forma di vita nei film di Keaton. Il mio preferito è “Sherlock Junior – La palla nr. 13” nel quale il nostro eroe, operatore proiezionista in un cinema, si addormenta durante la trasmissione di un film e la sua “parte onirica” vi finisce dentro, in un gioco dove sogno e realtà sono un tutt’uno. Niente è veramente reale nei film di Keaton, gli oggetti non sono mai quello che sembrano ed ogni cosa deve essere analizzata da tutti i punti di vista per poter comprendere lo svariato utilizzo che ne possiamo trarre. E’ il più profondo degli insegnamenti: non giudicare mai le cose per come sembrano, prova a guardarle da un altro punto di vista.
La macchina da presa fa parte di questo gioco del vedo-non-vedo, allargando o restringendo il campo, illudendo continuamente lo spettatore. Non per niente Keaton è “nato” sotto il tendone di un circo e il suo nomignolo “Buster” gli è stato attribuito dal grande Houdini.
I film di Keaton, comici se visti superficialmente, sono tutt’altro. Il finale non è mai rosa, l’uomo deve sempre continuare a lottare per vivere e in un caso la pellicola si conclude con l’inquadratura di una pietra tombale.
Ho scoperto Keaton a 12 anni e il montaggio è diventato la mia passione. Non è un caso

Ritorniamo al punto di inizio: ieri sera ho visto “The Artist”.
Dicevo, l’idea non è esattamente fresca ma è audace se consideriamo che lo stesso Wilder ha avuto forti scontri e pressioni perché la produzione nel 1960 si opponeva con tutte le sue forze all’utilizzo del bianco e nero per una pellicola poi diventata uno dei massimi capolavori : “A qualcuno piace caldo”
Audace quindi l’utilizzo del bianco e nero e ancor più del muto. Il film è un “semi-sonoro” ci sono alcune parti in cui si odono i rumori, le parole vengono fuori nell’ultimo minuto, e la regina del film è colonna sonora.
Gli attori sono sconosciuti – almeno all’estero – ed  è veramente interessante scoprire che Jean Dujardin è un attore noto al pubblico francese per avere interpretato parti comiche. Un cabarettista, come si può notare dalla prestanza fisica, che ricorda in parte Gene Kelly (forte il riferimento a “Cantando sotto la pioggia” : il divo del muto che viene salvato grazie alla sua abilità danzante e quindi grazie al musical che fa risorgere l’America dopo il crac) e in parte Douglas Fairbanks (la bellezza malandrina, il baffetto e la triste fine)
In questo ruolo infatti ricopre la parte di star del cinema muto (Douglas Fairbanks appunto) che all’arrivo del sonoro e, evento da non sottovalutare, dal crac del 25 ottobre 1929, perde tutto e si lascia trascinare dall’orgoglio e dalla disperazione, vagando come un fantasma e nutrendosi solo di alcol.
Spesso ci dimentichiamo del 1929 ma il riferimento, specialmente se paragonato alla situazione attuale, fa pensare. E molto.
Il declino di un popolo, la fame, la disperazione, la disoccupazione. Abbastanza terrificante e purtroppo reale, mai come adesso.

Tornando a “The Artist” è da notare anche l’abilità del regista nello spargere riferimenti visivi durante lo svolgimento del film. Qualità fondamentale dato che stiamo parlando di un film muto. Scritte, specchi, ogni oggetto è utilizzato (secondo la lezione impartita dai grandi maestri di cui sopra) per poter innescare il grande potere della comunicazione e della comprensione. Senza parole. 
Il protagonista passeggia solo vicino ad una sala cinematografica dove si proietta “Lonely Star”. La protagonista, incarnazione perfetta della ragazza degli anni ’30, grintosa, giovane, bella e dinamica (vero motore del film), innamorata fin dal primo momento del decaduto divo, è all’insaputa di questo il suo “Angelo Custode”, altro titolo di un film in programmazione.
Il grande amico fedele del protagonista trova qui incarnazione in un animale anziché in un essere umano. Il cane che ricorda Milou di Tintin salva il nostro eroe un paio di volte, nel film che l’attore sta interpretando al principio e successivamente nella sua triste e decaduta “realtà".
 Ed ecco un altro  déjà-vu, quello del “cinema nel cinema”. Non è facile né scontato ma quando un regista riesce a far rivivere le emozioni di un “film nel film”, la meravigliosa sensazione di una vita che passa attraverso un pezzo di celluloide, allora il gioco è fatto e la magia prende forma. E’ come quando “sogniamo di sognare”, come “Alice nel Paese delle Meraviglie”,  come trovarsi in un libro di Italo Calvino o di Raymond Queneau. Siamo quello che siamo o siamo il nostro specchio?
Niente è più illusorio di uno schermo bianco e forse è per questo che amo tanto la parte retrostante.
Sconsiglio vivamente la visione a coloro che non amano il genere, che credono che tutto quello che non abbia colore e forti suoni non sia altro che un vecchio polpettone e che non guarderebbero mai un film che non sia datato inizialmente con il 2
Ne consiglio la visione a tutti gli altri, ricordando – se permettete – che il cinema ha preso forma in Francia nel lontanto 1895. Non me ne volete ma ripeterò sempre che il cinema  è indiscutibilmente francese. 

Buona visione



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