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martedì 13 marzo 2012

TRA LE NUVOLE - UP IN THE AIR - 2009 by Jason Reitman

Una donna non sarà mai considerata allo stesso pari di un uomo.
Non è una bugia, è un dato di fatto.
Oggi ben tre persone, senza mezzi termini, hanno sottolineato la mia “bravura” a gestire casa e lavoro, viaggiando spesso. Praticamente hanno espresso “carinamente” un aperto giudizio negativo sulla mia vita.

Ripenso a “Tra le nuvole” (“Up in the Air” 2009) il film di Jason Reitman che dopo quel gioiello di “Juno” riprova il colpo con un film prevalentemente fondato sulla sensazione di solitudine e di quel poco di  misogina che pervade i viaggiatori. 
Qui il protagonista è George Clooney nelle vesti di un “addetto ai licenziamenti”, un impiegato speciale on-the-road o meglio in-the-air che vola da Stato a Stato per parlare con i dipendenti di tutte quelle società che, per mancanza di coraggio o per non addossarsi responsabilità, assoldano un esperto per fare un lavoro sporco.
George adora il suo lavoro, o meglio, il fatto che il suo lavoro gli permetta di volare via, di avere una vita fatta di incontri casuali e di accumulare sempre più punti sulla sua carta della compagnia aerea. E’ un metodico, uno che conosce tutti i trucchi per mettere in valigia quanto necessario per il viaggio, per scegliere quale fila al check-in è migliore di altre, per trovare gli alberghi migliori dove alloggiare. E’ una persona con una buona esperienza, che non desidera altro che stare fuori da quella parte di mondo con la quale prima della fine dovrà scontrarsi: la famiglia
Il conflitto più grande, il peggior periodo dell’anno lo incontra quando è costretto a tornare a casa per quei pochi giorni “terreni”. E quando il boss dell’azienda per cui lavora decide di tagliare i costi e di tenere gli impiegati a terra per svolgere il lavoro tramite il monitor di un computer, George vede il suo mondo crollare ed è costretto a rapportarsi con una ragazzina rampante, che si dimostra più tenera e indifesa di quanto non voglia dimostrare e che gli insegnerà a considerare la propria vita sotto un’altra dimensione. George affronta la vita, prova a lasciarsi andare all’amore e perde. La donna viaggiatrice ha meno scrupoli dell’uomo e lo lascia nuovamente solo davanti al cartellone degli orari dei voli.
L’uomo vola per riempire i vuoti della sua esistenza, la donna per ampliare le sue conoscenze ed espandere la sua esperienza. L’uomo vola se non ha famiglia, la donna vola incurante del fatto che ne abbia una.

E’ vero? E’ falso? E’ profondamente ingiusto. Punto.

Buona visione


giovedì 8 marzo 2012

LE FABULEUX DESTIN D'AMÉLIE POULAIN (2001 - Jean-Pierre Jeunet))

Difficile spiegare “Le Fabuleux destin d’Amélie Poulain”. Ricordo di averlo visto a un cinema d’essai, poltrona di galleria, parte destra della sala guardando lo schermo
Mi travolse, letteralmente. Lo vidi due, tre, quattro, cinque, forse sei volte durante lo stesso anno. Nello stesso cinema, la stessa settimana, durante le arene estive quando lo rincorrevo di comune in comune.
Poi uscì in VHS e lo comprai subito per rivederlo fino allo sfinimento. Poi il doppio DVD, ovviamente.
Non credo di averlo più rivisto da anni ma talvolta il DVD mi segue durante i miei viaggi all’estero e, chissà, probabilmente una sera prenderò l’occasione per rivivere lo stesso piacere che provai durante la prima visione.
Non so dire  cosa  10 anni fa  mi avesse realmente colpito del film. Ne ero completamente ammaliata. L’estate successiva siamo andati in vacanza a Parigi esclusivamente per effettuare il pellegrinaggio su tutti i luoghi del tournage.  All’epoca ero ancora totalmente avvolta nella visione adolescenziale e immatura della vita (pur avendo già superato con gli anni quel limite)  e rimasi affascinata da quella musica, dalle emozioni, da quel turbine di colori, di prevalenza rosso e verde. Una stanza del mio appartamento ha le pareti della stessa tonalità di verde semaforo e a mia cucina è rossa.  E chi se ne frega, riprendiamo a parlare del film.
Dal punto di vista tecnico la pellicola è un piacere per gli occhi. Il montaggio amalgama alla perfezione musica, rumori e fotogrammi. Le scene si susseguono briose come damigelle ad un giro di valzer. Gioia e malinconia, morte e vita, piacere e dispiacere. Tutto può mutare in un attimo, la vita può girare quando meno ce lo aspettiamo.
La notizia della morte di Lady D trasmessa alla televisione è subito collegata alla sorpresa di Amélie che lascia incautamente cadere il tappo della bottiglia di profumo, il quale rimbalza fino a toccare uno zoccoletto della pavimentazione, facendo scoprire ad Amélie un cimelio nascosto. Fine di Lady D. Siamo talmente presi da Amélie che non ci accorgiamo quanto feroce e cattiva sia questa scena. Appena trovato il cimelio Amélie si volta verso la televisione e con un gesto deciso sul telecomando ne annienta le immagini, come se volesse uccidere una seconda volta la sfortunata principessa. Non disturbarmi, non vedi che ho trovato una scatoletta di latta arrugginita con delle biglie di vetro all’interno?
Il mondo esterno non conta, esistiamo solo noi stessi.  Abbastanza feroce come scena, nonostante sia camuffata da poetica, sostenuta dal narratore che ne decanta l’emozione provata dalla ragazza nell’aprire quella scatoletta polverosa. E poi Amélie si dedicherà agli altri! Intanto una donna di nemmeno quaranta anni finiva la sua breve vita di falsa gloria.
Le emozioni di Amélie si intervallano continuamente, lasciando come finale la morale già proposta ne “L’Attimo Fuggente”: cogli l’attimo e goditi la vita.
Pellicola furbetta dunque, divertente e ben girata, ma veramente ben girata.  Il vero protagonista del film non è la fanciulla con le camiciette e le gonnelline a trine, vero must-have,   ma è il narratore (il grande André Dussoulier nella versione originale), calda voice-off che come rivolgendosi a un gruppo di bambini, narra la storia ad un pubblico pagante. Manca solo il bacio della buonanotte e la buona dormita è assicurata.
Ad ogni modo non possiamo negare che il personaggio di Amélie incanta, specialmente se non vediamo il film in versione originale. Solitamente la VO è migliore della versione doppiata, anche perché abbiamo la possibilità di gustare (laddove possiamo) le finezze e le differenze della lingua originale, la musicalità delle parole,  le sfumature impossibili da trasformare in un’altra lingua formata da un’altra cultura, con un altro bagaglio di parole e modi di dire. Conoscendo sufficientemente il francese ho apprezzato molto questa possibilità durante la visione di diverse pellicole (insuperabile “Tre uomini e una culla”ovvero “Trois Hommes et un Couffin”. Unico)
No, la magia non funziona per Amélie. La Tatou è carina al punto giusto e, ai tempi, era giovane al punto giusto per incarnare una giovane donna che racchiude in sé una miscela di sfacciataggine  adolescenziale e di timidezza matura. Era perfetta. Con la voce italiana, un incanto. Indovinello: cosa hanno in comune Valeria Golino e Audrey Tatou? Il fatto che se fatte recitare con un’altra voce riescono a essere meravigliose. Potrei dire la stessa cosa di Monica Bellucci ma purtroppo qui la falla non è solo nella voce, in questo caso è proprio la recitazione che manca. Conferma del fatto che non possiamo avere tutto nella vita. Tornando alla categoria delle attrici, ho sempre detestato Valeria Golino finché non ho visto “Frida”, dove recita appunto doppiata da un’altra donna con una voce vera e ho scoperto che è una grande attrice. Per la Tatou il percorso è stato inverso. Era meravigliosa finché non ho visto il film in VO. Credo di non essere arrivata alla fine, era insopportabile.
In Francia, come al solito, ne fecero un caso Nazionale. E quando mai? Ricordate “Les Visiteurs”? Jean Reno alle prime armi in un film demenziale. Un successone. Qualche anno fa è scoppiato giustamente “Bienvenue chez les Ch’tis” /“ Giù al Nord” di cui gli italiani hanno subito fatta propria l’idea trasportando i protagonisti al Sud Italia, dall’originale Nord Francese. Il film francese è di gran lunga superiore e decisamente divertente. In Francia sembravano pazzi durante il primo week-end di programmazione. Ultimo nella lista “The Artist” il film che, come osserva il “Nouvel Observateur” : “Ha vinto 5 Oscar perché gli americani non si sono accorti che il film era francese”. Adesso l’attore Jean Dujardin è dappertutto e i cugini d’Oltralpe stanno già, a mio avviso, superando la soglia del tollerabile. Ho recensito “The Artist” ed è un grande film. Però adesso basta.

“Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain”, per una favola da gustare in famiglia, tra crème-brûlée, nani viaggiatori, quadri di Renoir e grandi occhi neri. Spengete il pc e accendete il lettore DVD.

Buona visione