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lunedì 21 maggio 2012

MOONRISE KINGDOM

MOONRISE KINGDOM
di Wes Anderson


Una rivista francese questo mese titola l'articolo contenente l'intervista al giovane regista texano Le Conte D'Anderson” (La favola di Anderson)
La pellicola di apertura del 65esimo Festival di Cannes concentra infatti, nella sua durata di poco superiore a 90 minuti, tutti gli elementi tipici della Favola.
C'è un narratore, con il compito di fare luce (in ogni senso) sugli avvenimenti in corso; ci sono la bella e il suo principe kaki, non azzurro, 12enni ribelli e fuori dal coro, che scappano dal proprio gruppo di appartenenza (famiglia e scout) per stare insieme e sposarsi; ci sono 4 adulti inabili ad essere tali, malinconici e vuoti caratterialmente e, come ogni favola che si rispetti, c'è la strega cattiva.
Le favole originali, non trasformate dalla fervida fantasia disneyana, sono realmente violente, crudeli, tristi. Wes Anderson non ne modifica il concetto e realizza una storia angosciante e poetica allo stesso tempo.
In apertura del Festival Anderson ha dichiarato di essersi ispirato ad un grande regista del cinema francese, un esperto nella direzione dei bambini e nel raccontare storie di amore: François Truffaut.
Più che un'ispirazione qui siamo di fronte ad una trasposizione esatta dell'infanzia di Truffaut stesso (poi riportata a grandi linee da quest'ultimo ne I 400 colpi): amore per i libri, rifiuto della famiglia, ribellione, riformatorio, amore non corrisposto.
Anderson modella perfettamente i dolci colori di Renoir (Jean regista o Pierre-August pittore – a voi la scelta) con l'infanzia sfortunata di due ragazzini abitanti in un'isola del New England.
Il film si apre con un piano sequenza da manuale, una dolce carrellata che danza davanti ad una casa aperta verticalmente (idea fuorviante di essere in una casa delle bambole) per descriverci visivamente e minuziosamente la famiglia di Suzy. Dopo questo magnifico piano, Anderson decide di rimanere per il resto del film (o quasi) su una regia per la maggior parte invisibile, sacrificata per dare spazio a ciò che veramente conta nel racconto: i bambini.
La ragazza, Suzy, come da tradizione truffautiana, è caratterialmente più forte, violenta e matura del ragazzo. Porta con sé elementi “magici” come la valigia dei sogni e un binocolo. Suzy ricorda anche la Wendy di Peter Pan, con i bambini sperduti che ascoltano con attenzione la lettura delle storie fantastiche narrate nei libri che porta all'interno della valigia (appunto, valigia dei “sogni”). E ricorda anche Amélie Poulain, con quell'aria di ragazzina ordinata e carina, i grandi occhioni e un paio di forbici che, in questo caso, fanno la differenza con la dolce e naïve eroina francese...
Sam è un ragazzo che non si identifica con gli altri compagni e che crescerà indossando sempre una uniforme, ma è il solo personaggio del film che pone direttamente quella domanda che gli altri non hanno il coraggio o non riescono a far fuoriuscire: “Perché non mi ami?”
La divertente e amara sceneggiatura è un piacere per l'ascolto e la prima visione deve necessariamente essere seguita da altre per poter districare la tela di dettagli e riferimenti disseminati dal regista. La pellicola è una vera caccia al tesoro e Anderson invita lo spettatore a prendere parte al gioco.
Il richiamo iniziale di Moonrise Kingdom è però dovuto al gruppo di adulti, un bel cartellone di attori famosi che formano un quartetto stralunato e completamente incapace di indicare la retta via ai due fuggiaschi innamorati.
Ritroviamo qui un Bruce Willis decisamente in parte, unico poliziotto dell'isola, solitario e maliconico, unica forza adulta “quasi” positiva. Il suo antagonista è l'attore feticcio di Anderson, Bill Murray, nel ruolo del padre di Suzy, già calato da tempo nel ruolo di personaggio stralunato e avente un ruolo di facile esecuzione. Frances McDormand con il suo megafono, atto ad evidenziare ancor più l'incomunicabilità tra lei e il marito e la famiglia, aggiunge carattere alla madre di Suzy in piena crisi esistenziale, divisa tra il marito e l'amore (passione, semplice prurito?) per un secondo uomo. Conclude il quartetto Edward Norton, capo scout solo di aspetto. Se tutti gli adulti sono personaggi da evitare, il Capo Scout è quello più indegno di tale appellativo. Si riscatterà solo sul finale, nell'unico guizzo di vita, riappropriandosi del titolo da cui era stato destituito.
Solitamente conosciamo un Norton più che capace di dare spessore e autenticità ai personaggi interpretati. Qui al contrario l'attore riesce, nel senso più positivo del termine, ad annientarsi totalmente e a riflettere una nullità unica e desolante sul Capo Scout, elemento della troupe capace comunque di creare momenti esilaranti.

La favola di Anderson magari non riceverà alcun premio dalla giuria capitanata da Moretti (figuriamoci) ma viene largamente promossa da tutti coloro che per adesso hanno avuto la possibilità di poterla ammirare (la pellicola è uscita in Francia e tra qualche giorno uscirà anche negli Stati Uniti. Per l'Italia ancora la data di uscita resta un enigma)

Buona – prossima – visione