Film piacevole, trama che si sviluppa rimanendo sempre sulla sottile frontiera che separa commedia e dramma, attori in parte.
Da una parte Michelle Pfeiffer nel ruolo di una cameriera disillusa e dall’altra Al Pacino in veste di un cuoco ex-galeotto dal cuore d’oro, desideroso solo di essere accettato nuovamente in un mondo nel quale aveva cessato per un tempo di fare parte. I due si trovano e si scontrano, si corteggiano, si lasciano e si riprendono come in una classica commedia delle schermaglie tipica degli anni 40. Ma il contorno di questo piatto è tutt’altro che gradevole. Il film non concede realmente al pubblico un lieto fine, ma una accettazione al fatto che tutti, nel nostro piccolo, abbiamo un dramma che dobbiamo affrontare, dolore che non possiamo far altro che condividere per rendere la pena della lacerazione meno intensa. Ogni personaggio soffre e ogni personaggio trova un modo per sfuggire la realtà, per rifugiarsi dai colpi che la vita ci infligge. La lotta che Johnny (Al Pacino) combatte con Frankie (M. Pfeiffer) altro non è che un modo per salvarla dalla sua sofferenza, per far riemergere il gioioso guizzo della vita che sembra spento ma è in realtà selvaggiamente racchiuso dell'anima della ragazza. E’ una dura lotta che non termina alla fine del film, ma che si suppone debba durare ancora forse per tutto il proseguimento della loro esistenza. Tutto questo altro non è che un riflesso di ciò che combattiamo ogni giorno, tutti i mali interni che vorremmo espellere e che purtroppo rimangono incatenati all'interno del nostro essere. Fanno parte di noi, come la bocca e gli occhi, le mani e i piedi, e modellano il nostro carattere, rendendoci quello che siamo anche se non lo vorremmo.
Il dramma di Frankie è che è stata più volte tradita, colpita e illusa dagli uomini che le hanno tolto il più grande potere esistente nel corpo della donna, quello che ci distingue dall'altro sesso e che può farci diventare "divine" per un attimo: il potere della maternità.
Concepire per una donna è l'atto più importante di tutta la sua vita. E' inspiegabile, terribile e bellissimo. E' un battito che prende forma dentro di te. Un guizzo di vita che corre nel tuo sangue.
Non potrò mai comprenderlo fino in fondo. Posso solo immaginarlo spingendo la mia fervida fantasia aldilà del sogno, aldilà dei discorsi fatti, aldilà della letteratura e delle sceneggiature.
In questo mondo misogino e maschilista non si è mai compreso che la "più grande beffa" (parafrasando "I soliti sospetti") che l'uomo potesse fare è far credere che la donna fosse il sesso debole. Non lo è.
La donna è forte perché deve combattere molte più battaglie di un uomo. Ella sarà sempre discriminata: che sia incinta, che non possa procreare, che abbia figli o non ne abbia. Sarà sempre lei la spiegazione e la causa del problema.
Ebbene sì, lo ammetto, sono una femminista convinta.
Ma per fortuna nel film c'è Al Pacino che con tutto il suo bisogno di amore tenterà di salvare Michelle Pfeiffer, regalandole una rosa coltivata in cucina dove il gambo è un pezzo di sedano e il bocciolo è una patata tagliata ad arte.
Buona visione.
Da una parte Michelle Pfeiffer nel ruolo di una cameriera disillusa e dall’altra Al Pacino in veste di un cuoco ex-galeotto dal cuore d’oro, desideroso solo di essere accettato nuovamente in un mondo nel quale aveva cessato per un tempo di fare parte. I due si trovano e si scontrano, si corteggiano, si lasciano e si riprendono come in una classica commedia delle schermaglie tipica degli anni 40. Ma il contorno di questo piatto è tutt’altro che gradevole. Il film non concede realmente al pubblico un lieto fine, ma una accettazione al fatto che tutti, nel nostro piccolo, abbiamo un dramma che dobbiamo affrontare, dolore che non possiamo far altro che condividere per rendere la pena della lacerazione meno intensa. Ogni personaggio soffre e ogni personaggio trova un modo per sfuggire la realtà, per rifugiarsi dai colpi che la vita ci infligge. La lotta che Johnny (Al Pacino) combatte con Frankie (M. Pfeiffer) altro non è che un modo per salvarla dalla sua sofferenza, per far riemergere il gioioso guizzo della vita che sembra spento ma è in realtà selvaggiamente racchiuso dell'anima della ragazza. E’ una dura lotta che non termina alla fine del film, ma che si suppone debba durare ancora forse per tutto il proseguimento della loro esistenza. Tutto questo altro non è che un riflesso di ciò che combattiamo ogni giorno, tutti i mali interni che vorremmo espellere e che purtroppo rimangono incatenati all'interno del nostro essere. Fanno parte di noi, come la bocca e gli occhi, le mani e i piedi, e modellano il nostro carattere, rendendoci quello che siamo anche se non lo vorremmo.
Il dramma di Frankie è che è stata più volte tradita, colpita e illusa dagli uomini che le hanno tolto il più grande potere esistente nel corpo della donna, quello che ci distingue dall'altro sesso e che può farci diventare "divine" per un attimo: il potere della maternità.
Concepire per una donna è l'atto più importante di tutta la sua vita. E' inspiegabile, terribile e bellissimo. E' un battito che prende forma dentro di te. Un guizzo di vita che corre nel tuo sangue.
Non potrò mai comprenderlo fino in fondo. Posso solo immaginarlo spingendo la mia fervida fantasia aldilà del sogno, aldilà dei discorsi fatti, aldilà della letteratura e delle sceneggiature.
In questo mondo misogino e maschilista non si è mai compreso che la "più grande beffa" (parafrasando "I soliti sospetti") che l'uomo potesse fare è far credere che la donna fosse il sesso debole. Non lo è.
La donna è forte perché deve combattere molte più battaglie di un uomo. Ella sarà sempre discriminata: che sia incinta, che non possa procreare, che abbia figli o non ne abbia. Sarà sempre lei la spiegazione e la causa del problema.
Ebbene sì, lo ammetto, sono una femminista convinta.
Ma per fortuna nel film c'è Al Pacino che con tutto il suo bisogno di amore tenterà di salvare Michelle Pfeiffer, regalandole una rosa coltivata in cucina dove il gambo è un pezzo di sedano e il bocciolo è una patata tagliata ad arte.
Buona visione.