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venerdì 23 dicembre 2011

THEN AGAIN - 2011 - by Diane Keaton


LA RAGAZZA CON LA CRAVATTA


Prima di lei solo Katharine Hepburn portava i pantaloni.
Diane Keaton possiede un’eleganza tutta particolare, che nasce da un curioso accozzamento di capi, come camicia a righe e cravatta a pois. Un’altra donna sembrerebbe ridicola, malvestita, curiosa. Diane Keaton no. Lei è elegante
Il viso radioso da brava ragazza californiana, la timidezza naturale che diventa charme, la semplicità non aggressiva ne hanno fatto una donna vincente, che non cala mai di moda pur aumentando con gli anni.
E’ da poco uscita (da nemmeno un mese) la sua autobiografia “Then Again” (“Oggi come allora” in italiano). Più che una vera e propria autobiografia – solitamente noiose perché piene di dettagli inutili e di divagazioni che sanno di aria fritta – Diane Keaton disegna e narra la storia della sua famiglia (in primo piano quella di sua madre, quasi la vera protagonista del libro) come se stesse girando un film.
I racconti si incrociano, a volte senza un preciso ordinamento temporale, come se fossero scene di un montaggio alternato, delineandosi con una chiarezza che rendono la lettura un autentico piacere

La cosa più direttamente scioccante è la rivelazione del suo disturbo alimentare, la bulimia, nata verso la fine degli anni ’60, quando l’attrice era tutt’altro che adolescente.
Diane Keaton trova un modo molto diretto per la descrizione del suo disturbo. Descrizione perfetta, minimamente mirata al pietismo o alla commiserazione. Al contrario la Keaton semplicemente racconta, senza nemmeno prendersi troppo carico di indicarne il periodo di inizio e di fine (?).
Ci avete fatto caso? Nel cinema non si parla mai di bulimia e di anoressia. Sembrano essere argomenti tabù: a Hollywood nessun cane muore e nessuna donna soffre di anoressia. Eppure Diane Keaton stila una lista ben precisa di colleghe note che soffrono o hanno sofferto di questo disturbo.
Come dicevo, la sua descrizione netta e semplice, va diritta al punto e indica chiaramente un aspetto legato a questi disturbi di cui nessuno parla. IL TEMPO.
E’ pazzesco, è uno degli aspetti più sottovalutati, un aspetto mai considerato della malattia, decisamente il più importante. Quando una persona soffre di un disturbo dell’alimentazione consacra quasi tutto il suo tempo libero ad occuparsi di questo disturbo. E’ quasi nauseante leggere la lista di alimenti che la Keaton ingeriva ogni giorno per poi rimettere immediatamente e rimanere magra.
Totalmente presa dalla sua “richiesta mentale” e corporale, Diane Keaton non riusciva ad approfondire uno dei più importanti rapporti affettivi e lavorativi della sua vita, quello con Woody Allen. Semplicemente il TEMPO non le bastava. Non c’è tempo per l’altro, che per inciso fa anche una gran paura. I rapporti affettivi sono i primi ad essere distrutti. Non ci sono rapporti, se non con il cibo. Troppo e spaventoso per un anoressico, poco per un bulimico che lo rifiuta in un secondo momento.
Chissà come, in un modo o nell’altro, Diane Keaton è riuscita ad uscire dalla stanza buia in cui si rifugiava e ha incontrato la vita. 
(continua)

domenica 11 dicembre 2011

CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA (Singin' in the rain) - by Gene Kelly and Stainley Donen - 1952


Questa qui a lato è la prima immagine cinematografia che ho ritagliato dal giornaletto settimanale della programmazione TV. Nel corso degli anni avrei riempito quaderni e tutt'ora mi capita di ritagliare articoli e fotografie che mi affascinano.
In questo caso era stato il suo volto, quel volto che mi aveva stregato con quel sorriso aperto, attaccato a quel corpo volante che sprizzava gioia da ogni poro. Ho tenuto quel ritaglio per anni e forse, chissà, è ancora in fondo a qualche cassetto in casa dei miei genitori.
Avevo 12 anni e fin da allora “Cantando sotto la pioggia” è sempre stato il mio film preferito.
E’ un capolavoro. Punto.
Non importa se avete o meno passione per il musical, che qualche parte possa sembrarvi un po’ fuori moda (forse il lungo meraviglioso numero musicale sul finale, dove ballo e colori si fondono in un’armonia perfetta), che non andate a vedere i film musicali perché li credete noiosi.
“Cantando sotto la pioggia” è uno scoppiettante film corale, dalla esilarante sceneggiatura.
Siamo alla fine degli anni ’20, il cinema era relativamente giovane ma già la sua struttura si era formata con pilastri storici (prendiamo ad esempio Keaton e Chaplin). Una troupe cinematografica si scontra con lo spaventoso, misterioso avvento del sonoro. Al principio credono sia una farsa, una novità momentanea ma quando si rendono conto della grande minaccia che porterà al decadimento e alla distruzione di buona parte degli attori del periodo muto, corrono ai ripari
E’ il classico Film nel Film, come “8 e ½” ed “Effetto Notte”.
Già il suddetto Buster Keaton nei primi anni ‘20 aveva girato “Sherlock Junior” dove impersonava un proiezionista che addormentandosi entra a far parte della pellicola che scorre sullo schermo.
“Cantando sotto la pioggia” si distingue dagli altri per la grande caratteristica che lo impersona: la gioia di vivere.
Non credo che nessun’altro attore se non Gene Kelly riesca ad esprimere così chiaramente la forza e la bellezza della vita, che non è una cosa statica, ma dinamica che si muove, si evolve, si sprigiona sotto un cielo piovoso.
Nessun altro corpo di attore la impersona meglio di quello di Gene Kelly. Infatti non sono una fan di Fred Astaire. Mi dispiace ma quel manichino pseudo-elegante mi ha sempre lasciato piuttosto fredda e indifferente.
Di Gene Kelly me ne sono innamorata dai titoli di testa e aspettavo con ansia che alla televisione programmassero un altro film, dove potessi rivederlo. Era come il primo amore che aspetti ai giardinetti dietro un angolo, solo per vederlo sfrecciare in un attimo in sella ad una bicicletta scassata. Era la fine del mondo ed un istante valeva tutto
Ho rivisto decine di volte “I tre moschettieri”, “Un americano a Parigi”, “Tre marinai e una ragazza”, “Un giorno a New York”.
Ma “Cantando sotto la pioggia” è insuperabile.
Non riesco a descriverne bene tutti i tratti, forse perché la passione sovrasta l’obiettività della visione, ma credetemi: è un divertimento assicurato, un tourbillon di scene esilaranti che non possono far altro che aumentare il vostro amore per il cinema

Buona visione








domenica 6 novembre 2011

LE AVVENTURE DI TINTIN (The adventures of Tintin -2011 - by Steven Spielberg)



Evviva, Spielberg è tornato.
Lo aspettavamo da tempo, dall’ultimo, non brillante “Indiana Jones”.
E’ il primo film che dirige in 3D, il primo realizzato con la tecnica Motion Capture, già sperimentata precedentemente dall’amico Zemeckis.
Diffido dei film in 3D poiché considero la tecnica tridimensionale solo un paravento che nasconde dietro il suo bel decoro  solo un gran vuoto di contenuto.
Non in questo caso.
Spielberg ci regala forse il film più bello dell’anno, riportandoci alla memoria tutte le sue doti registiche. Partenza con la visuale dal basso, si inquadrano i piedi e le gambe del protagonista, il suo fedele cane, poi le spalle e il suo ritratto appena dipinto. D’un colpo il ragazzo si volta e scopre il suo vero volto: Tintin. Potrebbe sembrare la cosa più naturale del mondo ma qui siamo davanti ad una narrazione visiva impeccabile, narrazione che ritroveremo per tutta la durata del film, cuore pulsante di un’opera realizzata con i fiocchi. Cito ad esempio la scena sulla nave dove Tintin viene inviato da Haddock a recuperare la chiave necessaria per aprire la porta di una stanza, nella quale i nostri eroi devono necessariamente entrare.Tintin e Milou entrano nella stanza e i personaggi inquadrati - marinai che dormono su brande “a castello” - vengono descritti dalla voce fuori campo di Haddock con la macchina da presa che si muove agile mostrandoci in contemporanea tutti i dettagli che stiamo ascoltando. Scena di suspense, molto divertente e movimentata, che infine si conclude con una beffa a danno di Tintin e dello stesso spettatore (la porta si apre su una stiva di liquori, non su una via di fuga come pensato). Altra scena da segnalare è la corsa pazza per le strade marocchine dove le 3 preziose pergamene passano da un personaggio all’altro, animali compresi. La macchina da presa non è un semplice oggetto di narrazione, è l’occhio stesso del regista che non “guarda” ma “vede” e racconta. In un mondo dove tutti sono tutto, da scrittori a registi, da attori a cantanti, non è semplice trovare qualcuno che conservi, nel vecchio stile “hollywoodiano” - e qui si noti che l’aggettivo “vecchio” non è affatto sminuente, anzi, al contrario è rafforzante - tutta quella arte registica di cui stiamo purtroppo perdendo memoria.
E le citazioni...Passiamo da “Gli intoccabili” dove la spia che muore crivellata di proiettili che lascia in punto di morte il messaggio sul giornale con il sangue, a “Mission Impossible” dove il ciuffo di Tintin - e quindi Tintin stesso -  rischia di venire tranciato da un’elica, a “Lo squalo” , divertente rimando al proprio passato, ripresa dall’alto verso il basso con il ciuffo del ragazzo che appare a filo d’acqua come la pinna dello squalo. Sono passati quasi quaranta anni e lo stile è rimasto intatto, ma ritornerò in seguito per parlare di uno dei film più grandi della storia del cinema (Jaws - 1975)
Se ci pensiamo bene, nonostante il rimando del titolo, non è l'avventura la vera regina del fim, ma un'altra fondamentale caratteristica del personaggio: la curiosità. E' la curiosità, il mettersi in discussione, ponendosi continuamente domande sui fatti quotidiani che spinge Tintin verso le avventure più incredibili.E' questa caratteristica che lo rende infinitamente vitale e affascinante.
Prendere parte alla visione della storia è una gioia, un sollievo, una liberazione dalla realtà per finire ad ogni modo  in un sogno a tinte scure, dove i pericoli sono sempre in agguato, le persone sono piene di difetti e debolezze, animali inclusi, e la morte è parte integrante della nostra storia.
Nonostante tutto il coraggio di vivere, di lottare, vince sempre, anche nella sconfitta. Questa è la vera arma della vita e ce lo insegna il nostro impavido eroe. No, non Tintin, ma Steven Spielberg


Buona, ottima, immancabile visione

domenica 30 ottobre 2011

PAURA D'AMARE - FRANKIE AND JOHNNY - 1991 - by Garry Marshall)

Film piacevole, trama che si sviluppa rimanendo sempre sulla sottile frontiera che separa commedia e dramma, attori in parte.

Da una parte Michelle Pfeiffer nel ruolo di una cameriera disillusa e dall’altra Al Pacino in veste di un cuoco ex-galeotto dal cuore d’oro, desideroso solo di essere accettato nuovamente in un mondo nel quale aveva cessato per un tempo di fare parte. I due si trovano e si scontrano, si corteggiano, si lasciano e si riprendono come in una classica commedia delle schermaglie tipica degli anni 40. Ma il contorno di questo piatto è tutt’altro che gradevole. Il film non concede realmente al pubblico un lieto fine, ma una accettazione al fatto che tutti, nel nostro piccolo, abbiamo un dramma che dobbiamo affrontare, dolore che non possiamo far altro che condividere per rendere la pena della lacerazione meno intensa. Ogni personaggio soffre e ogni personaggio trova un modo per sfuggire la realtà, per rifugiarsi dai colpi che la vita ci infligge. La lotta che Johnny (Al Pacino) combatte con Frankie (M. Pfeiffer) altro non è che un modo per salvarla dalla sua sofferenza, per far riemergere il gioioso guizzo della vita che sembra  spento ma è in realtà selvaggiamente racchiuso dell'anima della ragazza. E’ una dura lotta che non termina alla fine del film, ma che si suppone debba durare ancora forse per tutto il proseguimento della loro esistenza. Tutto questo altro non è che un riflesso di ciò che combattiamo ogni giorno, tutti i mali interni che vorremmo espellere e che purtroppo rimangono incatenati all'interno del nostro essere. Fanno parte di noi, come la bocca e gli occhi, le mani e i piedi, e modellano il nostro carattere, rendendoci quello che siamo anche se non lo vorremmo.

Il dramma di Frankie è che è stata più volte tradita, colpita e illusa dagli uomini che le hanno tolto il più grande potere esistente nel corpo della donna, quello che ci distingue dall'altro sesso e che può farci diventare "divine" per un attimo: il potere della maternità.

Concepire per una donna è l'atto più importante di tutta la sua vita. E' inspiegabile, terribile e bellissimo. E' un battito che prende forma dentro di te. Un guizzo di vita che corre nel tuo sangue.

Non potrò mai comprenderlo fino in fondo. Posso solo immaginarlo spingendo la mia fervida fantasia aldilà del sogno, aldilà dei discorsi fatti, aldilà della letteratura e delle sceneggiature.

In questo mondo misogino e maschilista non si è mai compreso che la "più grande beffa" (parafrasando "I soliti sospetti") che l'uomo potesse fare è far credere che la donna fosse il sesso debole. Non lo è.

La donna è forte perché deve combattere molte più battaglie di un uomo. Ella sarà sempre discriminata: che sia incinta, che non possa procreare, che abbia figli o non ne abbia. Sarà sempre lei la spiegazione e la causa del problema.

Ebbene sì, lo ammetto, sono una femminista convinta.

Ma per fortuna nel film c'è Al Pacino che con tutto il suo bisogno di amore tenterà di salvare Michelle Pfeiffer, regalandole una rosa coltivata in cucina dove il gambo è un pezzo di sedano e il bocciolo è una patata tagliata ad arte.

Buona visione.




domenica 16 ottobre 2011

TRUFFAUT MON AMOUR

Rivedere un film di François Truffaut è sempre fonte di forte emozione. In un attimo comprendi perché ti sei innamorata dei suoi film durante un pomeriggio autunnale del 1996.
Avevo 23 anni e stavo guardando “Effetto Notte”.


C'è qualcosa di magico nei film che rappresentano il cinema stesso. A 12 anni mi innamorai di Gene Kelly che ballava sotto la pioggia perché aveva trovato il modo di salvare il film che stava girando, e di Buster Keaton che faceva il proiezionista e che si intrufolava all'interno dei film che proiettava.
Non mi sono purtroppo innamorata di Mastroianni in crisi che non sa cosa fare della pellicola che deve girare. Ci ho provato, diverse volte, invano. Forse non sono mai riuscita a capire Fellini e il suo 8 e ½. Non me ne volete


François Truffaut era un uomo straordinario. Un solitario che amava la compagnia, un ribelle travestito da borghese, un rivoluzionario e un profondo conservatore, un essere tormentato con l'aria da persona quieta e tranquilla. Truffaut era tutto e il suo contrario. Non è sufficiente la visione completa della sua filmografia; occorre trovare i libri scritti da e su di lui per far sì che la visione d'insieme del suo cinema acquisti un'immagine completamente differente. Si apprezza maggiormente un'opera quando si conosce che cosa c'è dietro. E anche in questo caso non si finisce mai di imparare, di scoprire cose nuove, diverse, il che è ancora più stimolante.


Qualche anno fa ho partecipato ad un incontro, una tavola rotonda su François Truffat, diretta da un gruppo di critici perlopiù francesi. I cugini d'Oltralpe hanno una strana maniera di trattare le opere. Le sezionano come rane in un laboratorio di anatomia. Era come se sul tavolo non ci fossero libri o dvd, ma Truffaut in persona. Era come se il tavolo altro non fosse che un banco della sala operatoria, con i chirurghi travestiti da critici. Non ho gradito molto questo genere di approccio all'opera di Truffaut. Se avessi studiato all'Università sicuramente non avrei scelto medicina


In ogni caso riprendere in mano un libro su Truffaut o rivedere un suo film è come ritrovare un amico dopo anni e intrecciare nuovamente con lui un rapporto d'intesa immediata, come se neanche un giorno fosse passato. E' stupendo, non accade sempre. Talvolta ci imbattiamo nuovamente in film di cui ci chiediamo come abbiamo fatto a suo tempo a parlarne bene. Altrettanto facciamo con pellicole che abbiamo disdegnato e che poi troviamo perfette (è un po' il caso “Fight Club” che non vedi perché pensi che sia orrendo, che non sia il tuo tipo di film, e quando lo hai visto non riesci più a farne a meno. Una droga)


I suoi film sono divertenti, tristi, irriverenti. Truffaut aveva uno strano modo di fare cinema, adottava uno stile talmente personale che lo rendeva unico, in ogni caso, nel bene e nel male. Amava un libro, un accadimento reale lo colpiva e ne traeva spunto per il soggetto di un nuovo film. A volta riusciva bene, a volte meno, così intriso nella sua soggettiva di regista. Era lui, aiutato solo da qualche collaboratore stretto e fidato che lo conosceva alla perfezione. Non voleva altri tipi di condizionamenti. A volte cambiava il soggetto in corso d'opera per un'idea che gli sembrava ancora migliore. Quando accadeva non deflorava la sua idea il giorno successivo ma la lasciava maturare per poi renderla pubblica. Questo era Truffaut, almeno in parte. Se non fosse morto prematuramente il 21 ottobre del 1984 probabilmente mi sarei trasferita in Francia.


Prendete il dvd di Effetto Notte (finalmente lo hanno edito in DVD, io ho una copia inglese acquistata on-line circa 4 anni fa) e guardatelo bene. E' un piccolo gioiello, divertente, vitale, che esprime alla perfezione quanto Truffaut amasse il cinema, quanto dovesse al cinema. E' un omaggio a questa grande arte dal regista più passionale che sia mai esistito





Buona visione









domenica 25 settembre 2011

CHE FINE HANNO FATTO LE BELLE STORIE?

Il regista Eric Rohmer non vedeva molti film. Vedeva solo quelli interessanti
Da cosa possiamo distinguere se un film può essere o meno interessante? Dagli attori? Dal regista? Dalla storia che narra?


Il cinema nasce inizialmente come uno sviluppo di fotografie in movimento. Le storie erano brevi e semplici ma ben presto venne compresa l’importanza di tale riproduzione. Basti pensare al treno che, alla faccia del 3D, corre rapido verso il pubblico che scappa impaurito dalla sala. Erano quasi gli inizi dello scorso secolo e già l’uomo filmava l’allunaggio. Con circa 70 anni di anticipo.
In fondo fare cinema non è che raccontare una storia tramite immagini, servendosi di buoni attori che aiutino a donare armonia e completezza all’opera.
Il guaio è che, ad oggi, non è facile trovare storie da raccontare o meglio, mi correggo, trovare CHI possa scrivere storie interessanti.
Hollywood ha smesso di produrre sogni. Se pensiamo che nel decennio del 1930 uscirono - a titolo di esempio - Biancaneve e Via col Vento, resta difficile comprendere perché adesso con il quintuplo dei mezzi a disposizione non si riesca a produrre che opere appannate e scialbe, intervallate da qualche film straordinario, solo, in mezzo a migliaia di pellicole vuote.
Cosa c’è dietro al nostro niente? Perché siamo sempre più a contatto con il mondo e sempre meno lo conosciamo?
Tralascio i miei commenti sul cinema italiano che, mi dispiace, non riesco minimamente a tollerare. O magari qualcuno, visto che ci siamo....
Nella maggior parte dei casi le nostre opere nazionali non sono film ma stupide fiction, oppure documentari sull’immigrazione, fatti - rifatti - rivisti. Possibile che non sappiamo parlare d’altro?! A questo punto W Muccino e il suo “Ultimo Bacio”. Lo hanno osannato per un anno intero e non è che uno schizzetto. E’ carino, si lascia vedere, ma non è “C’eravamo tanto amati”, non gli lega nemmeno le scarpe. Il secondo capitolo, di cui adesso mi sfugge anche il nome, è pessimo e inguardabile.  W Moretti, Benigni di qualche anno fa. Verdone è sempre lo stesso e vorrei cambiasse registro. Ritorno un attimo su Muccino e spezzo comunque una lancia a favore per lui. E’ uscito dalle frontiere nazionali e ha fatto due film meravigliosi con Will Smith - che non mi piace come attore ma ne riconosco la bravura.


Ieri sera siamo andati al cinema. “Carnage”. Bel film. Mio fratello è riuscito a stroncare anche quello. Forse perché non gli piace Polansky. Enfin, personalmente credo sia un ottimo film, ben recitato (ovvio, visto gli attori), divertente e sarcastico. Un piccolo appartamento, quattro individui egocentrici che pensano solo nella propria direzione: casa, libri e tulipani, sigari e superalcolici, borsa e suo contenuto, blackberry e lavoro. Ammetto che ho sofferto quando la Winslet getta nell’acqua il Blackberry di Waltz. Non si fa. E’ un sacrilegio distruggere un BB! In effetti se lavori con il Blackberry hai un parte di vita in esso (aveve presente Voldemort che nascondeva le sue parti di anima in tanti piccoli oggetti? Beh, per chi lo conosce il Blackberry è uno di questi! )  Non è un gadget divertente, è uno strumento di lavoro utile quanto la matita per il disegnatore, il pc in ufficio per tutti gli impiegati o o la macchina per noi che ci spostiamo spesso.
Una lite tra figli e i quattro eroi si riuniscono, parlano per un’ora e mezza e poi niente si conclude - e forse è questa la nota stonata di una bella melodia. I ragazzi fanno pace come sanno fare loro, senza spiegazioni, senza dibattiti interminabili. Si fanno del male e poi domani se ne sono già scordati.
Gli adulti sono più complessati, più incasinati, più stressati nel voler controllare sempre tutto e tutti. E alla fine il caos finisce per mescolare il tutto, lasciando la storia sospesa. Chissà cosa altro faranno i 4 eroi in casa?
Fra i 4 sicuramente tifiamo per Waltz e d’altronde come potremmo non farlo?
Waltz è stata la rivelazione della scorsa stagione cinematografica e chi ha visto “Bastardi senza gloria” può confermare la sua grande performance. Anche qui si difende bene Possiamo quasi affermare che sia il migliore tra i quattro, ma sarebbe ingusto nei confronti degli altri, bravissimi
Sempre parlando di Waltz speriamo che dopo questo piccolo film Hollywood possa offrirgli ruoli di un livello pari alla sua capacità recitativa, non necessariamente da villan. Ma di questo, purtroppo, dubito molto.


Carnage. Da evitare se non amate le opere teatrali unicamente basate su recitazione e sceneggiatura. Da vedere per tutti gli altri.
Buona visione

giovedì 25 agosto 2011

MATCH POINT (by Woody Allen - 2005)


Nella mia precedente opinione su “Everyone says I love you” avevo anticipato il “compromesso” presente nei film di Woody Allen.
A mio avviso, e in questo scarso blog mi dispiace ma esplicito i miei punti di vista, il compromesso non è mai così ben esposto quanto in “Match Point”.
In questa prima pellicola londinese,  a cui farà seguito un più leggero “Scoop”, Allen si ripropone come regista dai toni drammatici. Diversamente dalle volte precedenti – vedi “Interiors” o “Settembre”, stavolta Allen viene accolto con piena soddisfazione sia dal pubblico che dalla critica.
Molti sottolineano le somiglianze con “Crimini e Misfatti”, montaggio alternato tra due storie che infine si incrociano trovando l'epilogo con un'amara conclusione della vita. La prima storia è molto forte e drammatica, interpretata da un Martin Landau in conflitto con la sua anima ma non desideroso di rinunciare a benessere e reputazione; la seconda storia, in parte comica, è recitata da Woody e Mia appoggiati dal sempre straordinario Alan Alda, concorrente usuale sia sul campo affettivo che lavorativo.
“Match Point” è una storia invece lineare, con una breve sequenza onirica verso la fine, che parla di un tennista irlandese arrivato a Londra in cerca di lavoro e di soldi. Incontra un rampollo di una ricca famiglia, ne sposa la sorella e conclude il suo scopo (lavoro e soldi).
Ma Allen ci ricorda che nel dramma della vita c'è sempre l'Amore e viceversa.
La fidanzata del rampollo è Scarlett Johansonn, superba nella prima apparizione con il vestito bianco attillato. Un'immagine unica, una scena che Woody girerà più volte per trovare l'esatto punto della perfezione. Ci riesce in pieno.
Scarlett fa perdere la testa al nostro protagonista antipatico, ma si rivela avere un carattere difficile, isterico e l'illusione di avere una moglie ricca e un'amante bellissima non può diventare reale.
Ed ecco che nell'Amore arriva il dramma della vita e delle sue scelte. Meglio stare con la donna che ami o con la donna che ti piace ma che ha un sacco di soldi? Beh, il nostro tizio sceglie la seconda opzione e la fine è tragica come l'inizio di “Crimini e Misfatti”.
La vita  e suo compromesso si riuniscono per donare forma alla nostra esistenza.
E' uno dei pochi film seri di Woody, non ci sono spazi per una battuta di spirito o per uno slancio di umorismo anche velato. E' un film bellissimo, girato con cura, un film teatrale. I personaggi sono pochi e sono inquadrati alla perfezione, gli attori pienamente in parte. La prima volta che Woody diventa Europeo, che torna indietro verso il suo grande amore per i drammi, che con un altro colpo di ala si stacca dalla filmografia precedente per creare un'altra parte della sua storia, crea un film semplice ma brutalmente reale.
Se non lo avete visto ne vale la pena, anche per coloro che non amano Woody Allen.
Scommetto che poi mi darete ragione

Buona visone




lunedì 25 luglio 2011

TUTTI DICONO I LOVE YOU (EVERYONE SAYS I LOVE YOU BY WOODY ALLEN – 1996




E' vero che la prima volta non si scorda mai.
La prima volta di Woody alla prova nel dorato regno dei musicals

Mr Allen conosce bene la materia, è cresciuto guardando questo genere di film tipicamente americano sgorgato direttamente dalle ceneri del bianco e nero, il genere appartenente al primo film parlato in assoluto “Il cantante di Jazz”.
Musical è “Il mago di Oz”, l'eleganza di Astaire e Rogers, la vitale e gioiosa potenza di Gene Kelly che balla sotto la pioggia, musical è quel capolavoro di “Mary Poppins”, l'adolescenziale “Dirty Dancing”, John Travolta, il magnifico “Chicago”.

Indimenticabile, la musica incatena i ricordi e trasforma una piccola sceneggiatura, una storia quasi banale, in un film eterno.

La musica è, insieme alla scrittura e al movie making, l'altro grande amore di Woody Allen.
Il terzetto in questo caso si duplica, grazie alle locations scelte, non a caso le 3 preferite del regista: New York, Parigi, Venezia.

Il film è un puro entertainement, un corale dove stars e sconosciuti giocano insieme senza infastidirsi, una storia falsamente lineare il cui filo conduttore è sempre e solo l'amore. Nonostante questa gioia apparente, nella storia si incrociano delusioni, pianti, rotture di fidanzamenti, corse all'ospedale, un episodio di morte (con relativo balletto)
Woody Allen non si perita a celare, nemmeno stavolta che ha a disposizione il genere più brioso del cinema, il suo lato più reale, quello pessimista.
Le situazioni si risolvono solo nel caso di compromessi, come nella tradizione alleniana.

Eccezione fatta per Julia Roberts – nome di grido del cartellone - troppo fuori parte e impacciata nella maniera più negativa del termine, il cast è perfetto. Grandi attori aiutano la composizione del film, rendendolo più ricco, più completo.
Partiamo dal brillante Alan Alda, fedele attore/controparte/concorrente di Allen in diverse pellicole, sua moglie “filmica” Goldie Hawn, schietta, divertente e autoironica come sempre.
Troviamo anche una giovanissima Natalie Portman, già uscita dal personaggio bessoniano della ragazzina in “Léon” e qui già pronta per il nuovo lancio da adolescente bon ton. Una falsamente raffinata Drew Barrimore che dopo un bacio “galeotto” abbandona su due piedi il fidanzato perbene (si ricongiungerà alla fine con l'adorabile carciofo, il tranquillo e prevedibile ragazzo - ed ecco qui spuntare il compromesso). Il galeotto in questione altri non è che l'inglese Tim Roth, esilarante, che non appena uscito dalla prigione grazie alla spinta morale politica social-democratica di Hawn e Alda, va a rapinare subito una drogheria.
L'adorabile carciofo è invece un giovane Edward Norton alla sua seconda prova, inusuale in questa parte ma sempre dannatamente perfetto. Così dal chierichetto assassino di “Schegge di Paura” (nomination all'Oscar e vincita del Golden Globe), Norton si trova a girare la parte del ragazzo perbene, innamorato (per finta e per davvero – la reale intesa non fu mai ufficialmente confermata dalla coppia) della sua Drew Barrymore. I tempi comici di Norton e la sua abilità canora gli permettono di aprire la scena cantando il tema principale del film – avrà successivamente altre 2 parti cantate nella pellicola. La scena della cena, con anello al posto della ciliegina sul parfait, che la Barrimore puntualmente ingoia (smitizzazione alleniana del romanticismo, criticato per la sua banalità, la sua futilità rispetto alla vita), è forse la parte migliore del film. Il buon ragazzo che viene mollato alla fine ritornerà travestito da diavolo durante la notte di Halloween e perdonerà la sua fidanzata fedigrafa in nome dell'amore. Woody non poteva trovare travestimento migliore, strizzando l'occhio e sottolineando la doppia caratteristica nortoniana, ovvero che sotto la faccia da bravo ragazzo si nasconde un altro lato, tutt'altro che pacifico.
E poi Woody Allen, sempre alle prese con l'amore, con la certezza che questo non possa trovare vita se non nella menzogna, in una dimensione illusoria, in uno spazio esterno alla vita reale. Quando questi due elementi (amore e realtà) si incontrano, il rapporto inevitabilmente si spezza, non trovando altro collante che nel triste e arido compromesso.

Conclusione, i film – come diceva Truffaut – sono più armoniosi della vita. Tanto vale quindi vedere un gioioso musical – Allen dixit - per uscire dal grigio delle nostre esistenze.

Forse non è il miglior film di Woody Allen, anzi senza forse, ma è sicuramente il mio preferito!


Buona visione




domenica 3 aprile 2011

IL DIAVOLO VESTE PRADA

Il film preferito dal mio caro collega Andrea.
Questa commedia un po' furbetta, di facile visione, scorrevole soprattutto grazie al talento dei grandi Meryl Streep e Stanley Tucci e contornata dall'immenso sorriso della nuova stellina Anne Hathaway, che per fortuna ha almeno quello da regalarci.
Il film non è niente di particolare eppure ciascuno di noi l'ha vista e continua a rivederla con regolarità. Non posso parlare per il genere maschile, ma sicuramente potrò esporre la mia ipotesi per quanto riguarda la specie femminile. I veri protagonisti di questa tipologia di film (di cui "Il diavolo veste Prada" è fra i più riusciti) sono senza dubbio i costumisti. Immaginate il divertimento di un costumista nel poter usufruire di tutte le grandi griffe per costruire intorno una storiella banale, già vista varie volte in varie salse. A questo punto comprendiamo il nostro piacere nel rivedere abiti e accessori inarrivabili, a nostra portata di mano solo attraverso una pellicola o un foglio patinato della rivista settimanale di un importante quotidiano nazionale. Cerchiamo di emulare in qualche modo i colori e gli abbinamenti, cerchiamo una somiglianza, un trucco, un taglio di capelli che possa farmi molto lontanamente ricordare un personaggio, una situazione nella quale ameremmo anche solo per un momento essere protagoniste. E' il nostro ego interiore che si risveglia, appartenente anche a coloro che si rifiutano di ammettere che seguono la moda.
Non facciamoci illusioni. Il cinema, come tutte le altre industrie, vive di entrate, di incassi, senza i quali fallirebbe inesorabilmente. Talvolta diventa arte, talvolta rimane un prodotto di marketing, di puro intrattenimento.
All'interno della seconda scelta, possiamo distinguere i film in varie categorie, di cui qui di seguito trovate un piccolo elenco:

* "Star-movies": pellicole realizzate con il solo scopo di riunire belloni & bellone, senza badare alla sceneggiatura o alla struttura del film. Il regista viene ingaggiato solitamente dalla mega-produzione che gli ordina di seguire le due righe scritte dal figlio del nipote del nonno della moglie del produttore. Queste due righe sono il testo che dovranno recitare i tue sventoloni di turno. Solitamente questi film incassano bene e fanno felici sia la produzione, sia il nonno che ha potuto ascoltare qualcosa scritto dal figlio di suo nipote

* "Picture-movies": generalmente girati in Europa. Niente è più romantico, più bello per un americano di un film girato in Europa. Non sto parlando di un film europeo,  di quello non c'è nemmeno l'ombra, ma di riprese effettuate esclusivamente in Europa con il solo scopo di rendere accattivante la scarseggiante fantasia della sceneggiatura. E' il classico film cartolina, quelli che bloccano il centro di Parigi durante il mese di agosto - ovvero durante il tuo unico periodo festivo - e che ti impediscono la visita ad un museo perché da una settimana un intero cast di tecnici è impegnato a trovare la giusta luce tra la Gioconda e la star di turno.

* "Kitchen-movies": film per famiglie, che racconta una storia di una famiglia per far si che tutti possano desiderare alla fine di appartenere a quella famiglia. 
La famiglia in questione è composta da un padre simpatico, da una madre grintosa e da figli belli e colti. La famiglia è ricca, abita nel centro di NYC o in una ridente cittadina californiana, poco importa. In questo caso quello che interessa non è l'esterno, come nel precedente caso, ma l'interno. Quello è una cosa da favola. Chi tra di voi vive in un appartamento di 65 m2 può ammettere che, come me, guardiamo questi film per poter desiderare un giorno di avere un frigorifero come quello che hanno in America. Se ne comprassi uno non passerebbe nemmeno dalla porta. Dovrei abbattere un paio di muri per farlo entrare in cucina, nella quale peraltro sarebbe l'unico pezzo di mobilio dato che non entrerebbe altro. In più vivo al terzo piano senza ascensore e sarebbe un problema farlo arrivare lassù. Quindi mi limito a tenere il mio piccolo frigorifero nella mia piccola cucina e mi rallegro del fatto che ne ho una. Ma immaginate di poter disporre di 30 m2 o più, di un immenso spazio dove mettere al centro un tavolo enorme, dove poter tappezzare le pareti con piatti con decoro provenzale, uno spazio da ammobiliare con pensili di legno e maniglie in porcellana...
Sto divagando, me ne accorgo. Ok, avete capito immagino del tipo di film di cui sto parlando. Passiamo oltre

* "Clothes-movies": eccoci arrivati alla categoria alla quale appartiene "Il diavolo veste Prada". E' il film fatto di vestiti e di marche, di accessori e borse all'ultima moda. Aggiungi un paio di bravi attori e qualche battuta e il gioco è fatto. A suo modo anche "Colazione da Tiffany" era un clothes-movie, ma la sceneggiatura era tratta da un romanzo di Truman Capote, il regista era Blake Edwards e la modella era Audrey Hepburn. Dunque nessun paragone. 
Però il tubino nero di Givency era un sogno. 

Ed eccolo qua un film di successo, uno di quelli che lanciano un regista che non avrà seguito, un'attricetta che parteciperà ad ogni evento nei prossimi 5 anni e che lascerà ad ogni visione la voglia di riproporlo mensilmente per poter ricordare il miglior modo di abbinare la bigiotteria su un vestito impero. La produzione potrà dormire tranquilla per un po', perché l'incasso ha ricoperto il precedente flop del solito "gun-movie" andato peggio del previsto e le serate di gala avranno trovato la nuova reginetta.


Comunque, come dicevo all'inizio, questo è il film preferito dal mio caro collega Andrea. E anche e solo per questo deve essere seriamente rispettato






sabato 2 aprile 2011

LES FEMMES DU 6E ETAGE

On va parler de la France cette fois-ci. Eh, oui. Il faut, nécessairement. 
 J'ai commencé à devenir passionnée du cinéma après "La nuit américaine".
 Si vous voulez cela a été mon bateme, la possibilité de me rendre compte d'une autre façon de faire du cinéma. On parlera comme d'habitude après de Truffaut, le grand amour que je n'oublierai jamais. 
Je demande pardon aussi aux français, car je ne le suis pas, même si quelque fois je l'aimerais bien.  Une de motivations pour lesquelles j'aurais le désir d'appartenir au peuple de la France c'est le fait que pendant un sombre dimanche matin, où le ciel de Paris semblait n'avoir connu d'autres couleurs que le gris depuis plusieurs semaines, je suis tombée par hasard dans une salle de cinéma.
 Les salles de cinéma en Italie ne sont ouvertes que à partir du tard après-midi, mais en France et notamment à Paris on peut avoir le chance d'aller voir un spectacle aussi le matin. Ah, la matinée au cinéma! 
Je ne serais voulu jamais sortir de cet endroit-là! L'ambiance était sublime comme le film même. Luchini pareil, avec sa voix, sa magnifique voix de commedien de théâtre, sa façon de jouer avec une délicatesse absolue, une discrétion ravissante et une joie que comble le coeur.
Il faut le voir, il faut le savourer pour gouter avec plaisir ce joujou sortant de la fine pâtisserie française
Je ne sais pas si le film débarquera aussi en Italie. Je l'espère bien. Autrement, j'attendrai sa sortie en DVD pour revoir avec impatience ce petit et charmant histoire de vie.



martedì 22 marzo 2011

FIGHT CLUB - PRIMA PARTE


Mi vergogno, si,mi vergogno di ammettere che non ho mai visto Fight Club prima di ottobre 2010.
E' il mio pregiudizio che ha preso il sopravvento in questi 11 anni di distanza dalla sua prima uscita cinematografica e che mi ha bloccato la visione. Forse lo stesso generale pregiudizio che nella sua puerile debolezza e inconsistenza ne ha ritardato il successo in sala, largamente sconfitto dalla successiva riscoperta in VHS e DVD
Il pregiudizio...il pensiero che un pezzo di sapone composto da grassi umani potesse sconvolgermi, che tutto ruotasse intorno a un prodotto della liposuzione, un parallelepipedo rosa che inondava la mia mente. E poi Brad Pitt. Mi dispiace, ma non mi piace Brad Pitt. Mi rendo perfettamente conto che anche in questo caso è arrivato il pregiudizio relativo all'etichetta di “cult movie”, etichetta tanto detestata perché a mio avviso senza significato specifico. Un pretesto, un modo per assegnare ancora più merito ad una movie star di primo grido o ad un regista che si è visto sfuggire gli onori e le glorie su un film in cui hanno scucito milioni e non sono arrivati i guadagni.
Avevo lasciato da parte il resto. Il regista David Fincher in primis, che ha saputo scoprire un romanzo e trarne un'opera cinematografica di primo livello, di una perfetta e terrificante attualità, tanto da prevedere con lucido cinismo il crollo di grattacieli per mano di terroristi con due anni di anticipo...
La sceneggiatura, colonna portante di Fight Club, mi ha letteralmente stregato. Un tourbillon di parole, un vortice che ti ingoia avido e al tempo stesso una musica che non mi stancherò mai di ascoltare.
Ed Edward Norton, la ragione per cui infine, in uno stanco sabato sera, mi sono decisa a vedere il film.
Per 11 lunghi anni non mi sono resa stupidamente conto che il pezzo di sapone che troneggia ogni volta che ricordiamo Fight Club altro non fosse altro che un Mc Guffin hitchockiano. Un falso, un oggetto esca, un riflesso, quando il vero film sta assolutamente altrove.
E allora realizzi che il parallelepipedo rosa è come la bottiglia di vino e la chiave della cantina in “Notorius” o la valigia piena di soldi in “Psyco”. Un elemento, una trovata, nel mio caso deviante per la visione, che perde la sua importanza una volta compreso il gioco.
Ed ecco il crollo delle convinzioni, quelle convinzioni che fanno traballare le nostre fragili certezze una volta messe in discussione.
Fight Club, 3 fattori dominanti: regia, sceneggiatura ed Edward Norton.
L'intellettuale bostoniano dalla doppia faccia, il colletto bianco con la faccia sporca di sangue, il bravo ragazzo che gioca con il suo lato oscuro. Norton si diverte ad incarnare personaggi dalla doppia personalità.
Eppure in Fight Club Norton gioca al doppio rimanendo singolo e questo, debbo dire, grazie a Brad Pitt.
Norton non è mai stato tanto bravo, tanto sottile nella sua recitazione, immerso totalmente in quello che è il personaggio più adatto alla sua fisicità. Può cambiare ogni volta voce, struttura fisica, allure, ma è in questa rappresentazione, mai tanto astratta e mai tanto vicina alla realtà, che è esploso, che ha mostrato tutto il suo valore. Norton è la vera sostanza della recitazione.
Protagonista assoluto del film, nel “doppio” (o triplo?) ruolo di attore e voce narrante, nuova generazione dei grandi attori ma figlio di nessuno. Una recitazione che non trova paragone in altrei precedenti e in questo sancisce la sua forza e la sua pura unicità.
Sarebbe troppo facile definirlo “uno, nessuno e centomila”, il “camaleonte” giovane. Norton è Norton e basta. Il voluto annullamento di personalità del personaggio nel film non è che la costruzione di una identità da parte di un attore capace di trasmettere oltre che di recitare, qualità di valore ben maggiore e di difficile raggiungimento.
Amiamo Edward Norton non perché è Edward Norton, ma perché è perfettamente capace di trascinarci in qualsiasi storia che stia interpretando, di inebriarci e di farci provare sensazioni di inadeguatezza, emozioni, paure, totale empatia verso una galleria di personaggi, per la maggior parte scomodi e ambigui.

Ritornerò in futuro sulle prestazioni di Mr. Norton, ricordando solo un attimo che questo magnifico attore ha raramente interpretato ruoli di commedia, pur avendo un tempo comico perfetto, come scoperto inizialmente da Woody Allen per “Tutti dicono I love you” e poi riconfermato nell'unico film da regista di Norton “Tentazioni d'Amore”.

Ritornerò ovviamente anche su Fight Club, perché per descrivere Fight Club non basta una volta. Ne occorrono diverse per poter arrivare alla conclusione, per poter comprendere tutti i momenti del film, per poter svuotare tutti i pensieri che la visione continua a produrre. In italiano, in lingua originale, con sottotitoli, senza sottotitoli, muto.
Tutto cambia in base allo stato d'animo, al luogo, all'ora. Tutto muta, tutto è traballante e vago.
E allora aspettiamo un altro sabato sera, per un altro Fight Club

sabato 19 marzo 2011

MIO CUGINO VINCENZO

"Mio cugino Vincenzo" (My cousin Vinny - Jonathan Lynn - 1992) è una piccola, frizzante commedia degli equivoci con un vulcanico e quantomai scatenato Joe Pesci.
La storia è semplice: due amici partono in vacanza e si ritrovano ad essere incolpati di un omicidio perché scambiati per i criminali. Il neo laureato in avvocatura, nonché cugino Vincenzo, accorrerà in loro aiuto anche grazie alla collaborazione della sua fidanzata.
Se non lo avete visto, vi assicuro che ne vale la pena. Joe Pesci ovviamente ne combina di tutti i colori e Marisa Tomei - vincitrice per questa interpretazione di un inaspettato premio Oscar - è bravissima a fargli da spalla e a controbattere alla inarrestabile loquacità del protagonista. 
Nella parte di uno dei ragazzi c'è Ralph Macchio, idolo adolescenziale della nostra generazione per la sua interpretazione di "Karate Kid". Ovviamente, come contestatrice, non ho mai preso in considerazione detto film e non mi sono mai persa dietro a Macchio. In "Mio cugino Vincenzo" il giovane attore comunque è credibile e simpatico, con la sua faccia da bravo ragazzo.
In questo periodo di film spettacolari, basati principalmente sulla forza dell'immagine, è bello poter assaporare una pellicola fatta principalmente di parole e recitazione. La sceneggiatura ritorna regina per un giorno e finalmente possiamo concedere anche alle orecchie di incamerare qualcosa di straordinario.
Si trovano sempre più raramente occasioni come questa. E' bello poterla scoprire, se non conosciuta

Buona visione e buon ascolto