MOONRISE
KINGDOM
di
Wes Anderson
Una
rivista francese questo mese titola l'articolo contenente
l'intervista al giovane regista texano Le Conte D'Anderson” (La
favola di Anderson)
La
pellicola di apertura del 65esimo Festival di Cannes concentra
infatti, nella sua durata di poco superiore a 90 minuti, tutti gli
elementi tipici della Favola.
C'è
un narratore, con il compito di fare luce (in ogni senso) sugli
avvenimenti in corso; ci sono la bella e il suo principe kaki, non
azzurro, 12enni ribelli e fuori dal coro, che scappano dal proprio
gruppo di appartenenza (famiglia e scout) per stare insieme e
sposarsi; ci sono 4 adulti inabili ad essere tali, malinconici e
vuoti caratterialmente e, come ogni favola che si rispetti, c'è la
strega cattiva.
Le
favole originali, non trasformate dalla fervida fantasia disneyana,
sono realmente violente, crudeli, tristi. Wes Anderson non ne
modifica il concetto e realizza una storia angosciante e poetica allo
stesso tempo.
In
apertura del Festival Anderson ha dichiarato di essersi ispirato ad
un grande regista del cinema francese, un esperto nella direzione dei
bambini e nel raccontare storie di amore: François Truffaut.
Più
che un'ispirazione qui siamo di fronte ad una trasposizione esatta
dell'infanzia di Truffaut stesso (poi riportata a grandi linee da
quest'ultimo ne I 400 colpi): amore per i libri, rifiuto della
famiglia, ribellione, riformatorio, amore non corrisposto.
Anderson
modella perfettamente i dolci colori di Renoir (Jean regista o
Pierre-August pittore – a voi la scelta) con l'infanzia sfortunata
di due ragazzini abitanti in un'isola del New England.
Il
film si apre con un piano sequenza da manuale, una dolce carrellata
che danza davanti ad una casa aperta verticalmente (idea fuorviante
di essere in una casa delle bambole) per descriverci visivamente e
minuziosamente la famiglia di Suzy. Dopo questo magnifico piano,
Anderson decide di rimanere per il resto del film (o quasi) su una
regia per la maggior parte invisibile, sacrificata per dare spazio a
ciò che veramente conta nel racconto: i bambini.
La
ragazza, Suzy, come da tradizione truffautiana, è caratterialmente
più forte, violenta e matura del ragazzo. Porta con sé elementi
“magici” come la valigia dei sogni e un binocolo. Suzy ricorda
anche la Wendy di Peter Pan, con i bambini sperduti che ascoltano con
attenzione la lettura delle storie fantastiche narrate nei libri che
porta all'interno della valigia (appunto, valigia dei “sogni”). E ricorda anche Amélie Poulain, con quell'aria di ragazzina ordinata e carina, i grandi occhioni e un paio di forbici che, in questo caso, fanno la differenza con la dolce e naïve eroina francese...
Sam
è un ragazzo che non si identifica con gli altri compagni e che
crescerà indossando sempre una uniforme, ma è il solo personaggio
del film che pone direttamente quella domanda che gli altri non hanno
il coraggio o non riescono a far fuoriuscire: “Perché non mi ami?”
La
divertente e amara sceneggiatura è un piacere per l'ascolto e la
prima visione deve necessariamente essere seguita da altre per poter
districare la tela di dettagli e riferimenti disseminati dal regista.
La pellicola è una vera caccia al tesoro e Anderson invita lo
spettatore a prendere parte al gioco.
Il
richiamo iniziale di Moonrise Kingdom è però dovuto al gruppo di
adulti, un bel cartellone di attori famosi che formano un quartetto
stralunato e completamente incapace di indicare la retta via ai due
fuggiaschi innamorati.
Ritroviamo
qui un Bruce Willis decisamente in parte, unico poliziotto
dell'isola, solitario e maliconico, unica forza adulta “quasi”
positiva. Il suo antagonista è l'attore feticcio di Anderson, Bill
Murray, nel ruolo del padre di Suzy, già calato da tempo nel ruolo
di personaggio stralunato e avente un ruolo di facile esecuzione.
Frances McDormand con il suo megafono, atto ad evidenziare ancor più
l'incomunicabilità tra lei e il marito e la famiglia, aggiunge
carattere alla madre di Suzy in piena crisi esistenziale, divisa tra
il marito e l'amore (passione, semplice prurito?) per un secondo
uomo. Conclude il quartetto Edward Norton, capo scout solo di
aspetto. Se tutti gli adulti sono personaggi da evitare, il Capo
Scout è quello più indegno di tale appellativo. Si riscatterà solo
sul finale, nell'unico guizzo di vita, riappropriandosi del titolo da
cui era stato destituito.
Solitamente
conosciamo un Norton più che capace di dare spessore e autenticità
ai personaggi interpretati. Qui al contrario l'attore riesce, nel
senso più positivo del termine, ad annientarsi totalmente e a
riflettere una nullità unica e desolante sul Capo Scout, elemento
della troupe capace comunque di creare momenti esilaranti.
La
favola di Anderson magari non riceverà alcun premio dalla giuria
capitanata da Moretti (figuriamoci) ma viene largamente promossa da
tutti coloro che per adesso hanno avuto la possibilità di poterla
ammirare (la pellicola è uscita in Francia e tra qualche giorno
uscirà anche negli Stati Uniti. Per l'Italia ancora la data di
uscita resta un enigma)
Buona
– prossima – visione
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